L’IA che monitora lo stress sul lavoro: così aiuta aziende e dipendenti

Il 73% dei lavoratori ha sperimentato situazioni di stress o ansia legate al proprio impiego, secondo il Rapporto Censis-Eudaimon 2024. Un dato allarmante che non può essere ignorato. Per rispondere a questa emergenza, quattro giovani innovatori hanno sviluppato Myndoor, una startup italiana specializzata nel corporate wellness. Il software, basato sull’intelligenza artificiale, analizza le conversazioni su piattaforme come Teams e Slack, individuando segnali di stress e inviando alert alle aziende.

“Non si tratta di un sistema invasivo – spiega Francesco Finazzi, ex pilota militare e oggi CEO di Myndoor – ma di uno strumento di supporto che garantisce privacy e anonimato. Il nostro obiettivo è far emergere situazioni critiche prima che si trasformino in burnout”.

L’IA opera in background, esaminando la semantica dei messaggi e, in caso di rilevazione di stress elevato, propone soluzioni mirate: esercizi di rilassamento, incontri con psicologi o webinar di supporto. Non viene segnalato il singolo dipendente, ma si evidenziano tendenze collettive per permettere all’azienda di intervenire tempestivamente.

Myndoor è già attiva in circa 30 aziende, operanti in settori come finanza, assicurazioni e pubblica amministrazione. “Sempre più imprese stanno integrando il benessere psicologico nei loro piani di welfare – aggiunge Finazzi – e il nostro software può diventare un pilastro di questa strategia”.

Nata nel 2021, la startup ha già raccolto oltre 700mila euro di finanziamenti ed è entrata nel programma di accelerazione Redigital Health di Cassa Depositi e Prestiti. Con la crescente attenzione al benessere lavorativo, strumenti come Myndoor potrebbero rappresentare il futuro della gestione aziendale, ponendo l’IA al servizio della salute mentale dei dipendenti.


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Processo tributario: la Corte si pronuncia sulla nuova disciplina delle prove in appello

Con la sentenza numero 36, depositata oggi, la Corte costituzionale ha esaminato alcune questioni di legittimità costituzionale del decreto legislativo 30 dicembre 2023, numero 220 (Disposizioni in materia di contenzioso tributario) sollevate dalle Corti di giustizia tributaria di secondo grado della Campania e della Lombardia. Le rimettenti avevano censurato in particolare, in riferimento agli articoli 3, primo comma, 24, secondo comma, 102, primo comma, e 111, primo e secondo comma, della Costituzione, l’articolo 58, comma 3, del decreto legislativo numero 546 del 1992, inserito dall’articolo 1, comma 1, lettera bb), del decreto legislativo numero 220 del 2023, ai sensi del quale, nel giudizio di appello «non è mai consentito il deposito delle deleghe, delle procure e degli altri atti di conferimento di potere rilevanti ai fini della legittimità della sottoscrizione degli atti, delle notifiche dell’atto impugnato ovvero degli atti che ne costituiscono presupposto di legittimità che possono essere prodotti in primo grado anche ai sensi dell’articolo 14 comma 6-bis».

La Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di tale disposizione limitatamente alle parole «delle deleghe, delle procure e degli altri atti di conferimento di potere rilevanti ai fini della legittimità della sottoscrizione degli atti».

Nella sentenza si legge che la novella del 2023 ha optato per un modello di gravame ad istruttoria chiusa, temperato, però, dal riconoscimento della facoltà, per le parti, di introdurre in secondo grado prove nuove indispensabili ai fini della decisione o incolpevolmente non dedotte in primo grado.

La Corte ha, però, osservato che, rispetto a tale regola generale, sancita dal riformato comma 1 dell’articolo 58, il divieto assoluto di produzione delle deleghe, delle procure e degli altri atti di conferimento di potere, sancito dal nuovo comma 3, non trova appiglio nelle caratteristiche oggettive dei suddetti documenti, non essendo rinvenibile in essi un elemento differenziale sul quale il legislatore possa costruire una disciplina diversificata. Inoltre, ha rilevato ancora la Corte, la nuova disciplina, là dove inibisce il deposito delle deleghe, delle procure e degli atti di conferimento di potere, pur quando ne sia stata incolpevolmente impossibile la produzione in primo grado, comprime ingiustificabilmente il diritto alla prova, posto che in tali ipotesi il processo di appello costituisce la prima e unica occasione per dedurre i mezzi istruttori che non siano stati introdotti in primo grado per causa non imputabile alla parte.

Per quanto concerne, invece, il divieto di produzione in appello delle notifiche dell’atto impugnato ovvero degli atti che ne costituiscono presupposto di legittimità, pure sancito dall’articolo 58, comma 3, del decreto legislativo numero 546 del 1992, la Corte ne ha escluso sia la irragionevolezza sia la contrarietà agli altri parametri evocati dalle rimettenti.

Il legislatore, con il divieto censurato, ha inteso evitare che l’appello venga promosso al solo fine di effettuare un deposito documentale che, pur essendo da solo sufficiente per la definizione del giudizio, sia stato omesso in prime cure. Il divieto di deposito delle notifiche è stato ritenuto non contrario a Costituzione anche là dove include l’ipotesi in cui la parte dimostri di non aver potuto depositare il documento in primo grado per causa ad essa non imputabile. Ciò in quanto «l’atto esiste, il procedimento tributario produce i suoi effetti tipici per mezzo della notificazione, sicché o la notifica – e quindi deve essere necessariamente conosciuta dall’amministrazione, sulla quale grava un dovere qualificato di documentazione del procedimento notificatorio e di conservazione e custodia dei relativi atti – prima che la pretesa impositiva venga azionata, oppure la stessa pretesa è da ritenersi inefficace ab origine e quindi non può essere fatta valere».

La Corte di giustizia tributaria della Lombardia aveva, poi, dubitato della legittimità costituzionale dell’articolo 4, comma 2, dello stesso decreto legislativo numero 220 del 2023, là dove dispone che le nuove regole sulle prove in appello si applicano ai giudizi instaurati in secondo grado a far data dal giorno successivo all’entrata in vigore di detto decreto.

La Corte costituzionale ha ritenuto irragionevole la disciplina censurata, in quanto la novella, sebbene formalmente operi per il futuro, nella sostanza incide sugli effetti giuridici di situazioni processuali verificatesi nei giudizi iniziati nel vigore della precedente normativa e ancora in corso, così ledendo l’affidamento riposto dalle parti nella tutela di posizioni legittimamente acquisite. Pertanto, l’articolo 4, comma 2, del decreto legislativo numero 220 del 2023 è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui prescrive che le modifiche apportate dall’articolo 1, comma 1, lettera bb), dello stesso decreto legislativo numero 220 del 2023 alla disciplina delle prove in appello dettata dall’articolo 58 del decreto legislativo numero 546 del 1992 si applicano ai giudizi instaurati in secondo grado a decorrere dal giorno successivo alla sua entrata in vigore, anziché ai giudizi di appello il cui primo grado sia instaurato successivamente all’entrata in vigore del medesimo decreto legislativo.


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Corte di Appello di Napoli, istituito Osservatorio distrettuale per gli Uffici del Giudice di Pace

Napoli, 27 marzo 2025 – È stato firmato un protocollo per l’istituzione dell’Osservatorio distrettuale permanente relativo agli Uffici del Giudice di Pace presenti nel Distretto della Corte d’Appello di Napoli, presieduto dalla Presidente della Corte d’appello di Napoli, Maria Rosaria Covelli. L’intesa è stata sottoscritta anche dai Presidenti dei Tribunali di Napoli, Avellino, Benevento, Napoli Nord, Nola, Santa Maria Capua Vetere, Torre Annunziata, dai Presidenti dei Consigli dell’Ordine degli Avvocati del Distretto, dal Dirigente Amministrativo dell’Ufficio del Giudice di Pace di Napoli, dal Dirigente del C.I.S.I.A. sede di Napoli.
L’Osservatorio, che terrà riunioni periodiche assicurando costante interlocuzione e confronto, si pone quali obiettivi l’individuazione e l’analisi delle criticità, delle problematiche e delle buone prassi di tutti gli Uffici del Giudice di Pace del Distretto e l’elaborazione di strategie, iniziative e proposte condivise, volte a migliorare l’efficienza dell’amministrazione della giustizia.
La potenzialità dell’Organismo è ampia. L’Osservatorio, infatti, non solo vede partecipare i massimi rappresentanti ed esponenti della Magistratura, dell’Avvocatura del Distretto di Napoli e della struttura amministrativa, ma si avvarrà, inoltre, del patrimonio di conoscenze tratte dall’interlocuzione diretta con gli Uffici e ogni altro soggetto, anche pubblico. Si tratta di una struttura che intercetta e analizza le esigenze concrete degli utenti della giustizia, dei singoli Uffici e dell’Avvocatura, anche ai fini di portarle a conoscenza del Ministero, del CSM e dei Comuni coinvolti.
La partecipazione del Dirigente del C.I.S.I.A. di Napoli, inoltre, consentirà di affrontare le rilevanti problematiche connesse all’introduzione del Processo civile telematico e ogni altra problematica informatica, anche sotto il rilevante profilo della formazione dei giudici e del personale amministrativo.
Nella prima riunione costitutiva dell’Organismo i lavori sono stati immediatamente avviati con l’individuazione delle principali problematiche e la predisposizione di una tabella di marcia serrata che, partendo dalla raccolta dei dati rilevanti e delle istanze più urgenti, condurrà all’individuazione delle linee d’azione.
Tutti i partecipanti hanno espresso grande soddisfazione per l’istituzione dell’Osservatorio. “E’ un’iniziativa a livello distrettuale, tesa al monitoraggio, miglioramento e rafforzamento della giustizia di prossimità, di fondamentale importanza nella tutela dei diritti. Questo nuovo organismo rappresenta un passo significativo verso una maggiore efficienza del sistema giudiziario, con strumenti di analisi e confronto sulle criticità degli Uffici del Giudice di Pace del Distretto” ha dichiarato Maria Rosaria Covelli.
La Presidente della Corte ha poi sottolineato come: “L’Osservatorio sarà un punto di riferimento anche per la qualità della funzione giurisdizionale valorizzando il ruolo dei Giudici di Pace all’interno del nostro ordinamento. Attraverso il dialogo costante tra Magistratura, Avvocatura, Istituzioni e operatori del diritto, si potranno promuovere soluzioni concrete e sostenibili”.

“Ringraziando tutti coloro che hanno reso possibile questa iniziativa – ha proseguito la Presidente – auspico che l’Osservatorio diventi un modello di collaborazione e innovazione, contribuendo a un sistema di tutela dei diritti sempre più efficiente ed effettivo”.


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Polizze catastrofali: obbligo per le imprese, scadenza il 31 marzo

Il conto alla rovescia è iniziato: le imprese italiane hanno tempo fino al 31 marzo 2025 per stipulare un’assicurazione contro i danni causati da eventi naturali catastrofali come terremoti, alluvioni, frane e inondazioni. L’obbligo, introdotto dalla Legge di Bilancio 2024, mira a rafforzare la resilienza del sistema economico nazionale e ridurre il peso finanziario delle calamità sulla finanza pubblica.

Cosa prevede la normativa

L’obbligo riguarda tutte le aziende con sede legale o stabile organizzazione in Italia, iscritte al Registro delle Imprese, con l’eccezione delle imprese agricole, che già beneficiano di un Fondo mutualistico nazionale per eventi meteoclimatici estremi.

Il recente Decreto n. 18/2025 del Ministero dell’Economia e delle Finanze, in concerto con il Ministero delle Imprese e del Made in Italy, ha definito le modalità attuative. Le polizze dovranno coprire beni materiali iscritti a bilancio, come fabbricati, impianti e macchinari, con esclusione di quelli già protetti da polizze analoghe o edifici costruiti in violazione delle normative edilizie.

Rischi coperti e determinazione dei premi

Gli eventi naturali inclusi sono sismi, alluvioni, frane, inondazioni ed esondazioni. Esclusi, invece, fenomeni come mareggiate o piogge torrenziali. Le assicurazioni potranno comunque offrire coperture opzionali per altri eventi e per i danni da interruzione di attività.

I premi assicurativi saranno stabiliti in base al rischio specifico, considerando la localizzazione dell’impresa, la vulnerabilità degli immobili e le misure preventive adottate. Per garantire la sostenibilità del sistema, interverrà SACE S.p.A. con una copertura riassicurativa fino al 50% degli indennizzi, con garanzia statale fino a 5 miliardi di euro per il 2025 e 2026.

Conseguenze per chi non si adegua

Le imprese che non stipuleranno la polizza obbligatoria potranno essere escluse da contributi pubblici e agevolazioni finanziarie. Il Governo ha già previsto che l’inadempimento venga considerato come criterio per l’accesso agli incentivi statali.

Le compagnie assicurative autorizzate al ramo danni saranno obbligate ad offrire tali coperture, pena sanzioni da 100.000 a 500.000 euro da parte dell’IVASS. Tuttavia, le imprese assicuratrici potranno stabilire limiti di rischio e, una volta superati, sospendere l’emissione di nuove polizze.

Un cambiamento strutturale per la gestione del rischio

L’obbligo assicurativo rappresenta un cambiamento epocale nella protezione del patrimonio aziendale in Italia. Se da un lato impone nuovi costi per le imprese, dall’altro rafforza il sistema economico contro i disastri naturali. Il settore assicurativo dovrà ora garantire un’offerta sostenibile, mentre le imprese sono chiamate a mettersi in regola per evitare sanzioni e perdite di opportunità economiche.


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Illecito disciplinare forense: la violazione dei doveri deontologici è sempre sanzionabile

Roma – Il Consiglio Nazionale Forense, con la sentenza n. 365 del 9 ottobre 2024, ha chiarito che, nell’ambito disciplinare forense, la mancanza di una specifica tipizzazione di un comportamento scorretto non esclude la possibilità di sanzionarlo.

A differenza del diritto penale, dove vige il principio della stretta tipicità dell’illecito, il sistema deontologico degli avvocati prevede una tipizzazione delle condotte vietate solo “per quanto possibile” (art. 3, co. 3, L. 247/2012). Questo significa che anche comportamenti non espressamente descritti nel Codice Deontologico possono essere oggetto di sanzione, purché violino i principi fondamentali della professione, come indipendenza, lealtà, probità, dignità e decoro.

Secondo il CNF, il rispetto di questi doveri non si esaurisce nell’attività strettamente professionale, ma si estende anche alla vita privata dell’avvocato. Ne consegue che la mancanza di una norma che descriva in modo tassativo una condotta illecita non garantisce alcuna immunità disciplinare, poiché l’ordinamento prevede clausole di chiusura in grado di colmare eventuali lacune.

Questa interpretazione conferma un orientamento consolidato volto a garantire l’integrità della professione forense, tutelando il decoro e la fiducia che la società ripone negli avvocati.


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Indebita percezione di erogazioni pubbliche: la Cassazione chiarisce i confini del reato

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 11969 depositata il 26 marzo 2025, hanno fornito importanti chiarimenti in materia di indebita percezione di erogazioni pubbliche, in particolare per quanto riguarda le agevolazioni previdenziali per i lavoratori in mobilità. La Suprema Corte ha stabilito che il reato, previsto dall’articolo 316-ter del Codice penale, si configura anche nel caso in cui il beneficio venga ottenuto omettendo di comunicare una condizione ostativa. Inoltre, ha precisato che, quando le agevolazioni vengono erogate in modo periodico, il reato deve considerarsi unitario, con consumazione prolungata fino alla percezione dell’ultimo contributo.

Il caso concreto: agevolazioni indebite per oltre 200 lavoratori

La vicenda esaminata riguarda una società che aveva beneficiato di riduzioni contributive per oltre 200 lavoratori in mobilità, ottenendo un risparmio complessivo di circa 3,3 milioni di euro. Tuttavia, i rapporti di lavoro erano stati instaurati e proseguiti all’interno di imprese formalmente diverse, ma in realtà riconducibili a un’unica entità. La società aveva richiesto le agevolazioni nell’ambito del Programma Operativo Regionale (P.O.R.) Puglia 2000-2006, senza fornire adeguata documentazione sul rispetto dei requisiti di legge.

Proprio questa omissione aveva portato l’INPS a ritenere sussistenti i presupposti per l’agevolazione, consentendo alla società di ottenere il beneficio previsto dalla legge 223/1991.

I principi di diritto affermati dalla Cassazione

La Corte ha ribadito che l’indebita percezione di agevolazioni previdenziali si verifica anche nel caso in cui il beneficio venga ottenuto tramite un’omissione, senza necessità di ulteriori condotte fraudolente. Nello specifico, le Sezioni Unite hanno affermato che:

  • Il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche è integrato dalla mancata comunicazione dell’esistenza di una condizione ostativa prevista dalla legge per l’accesso alle agevolazioni contributive.

  • Quando i benefici vengono erogati in modo periodico, il reato ha natura unitaria e la consumazione si protrae fino alla percezione dell’ultimo contributo.

Il momento consumativo del reato

Nel caso in esame, la Corte ha evidenziato che l’indebita percezione non si è concretizzata solo nel risparmio economico ottenuto, ma fin dal momento in cui la società ha acquisito il diritto alle agevolazioni. L’omissione iniziale ha permesso di ottenere un vantaggio economico non spettante, senza che vi fossero elementi di artificio o raggiro.

L’ultimo atto rilevante, ai fini della consumazione del reato, è stato individuato nella percezione dell’ultimo sgravio contributivo, avvenuta nel dicembre 2008. La società presentava periodicamente richieste di riduzione contributiva attraverso i modelli “DM 10”, il che ha determinato il protrarsi dell’illecito fino all’ultima erogazione.

Implicazioni e rilievo della sentenza

Questa pronuncia delle Sezioni Unite fornisce un’interpretazione chiara dell’articolo 316-ter c.p., confermando che il reato può configurarsi anche in assenza di atti fraudolenti e precisando il momento consumativo nei casi di erogazioni ripetute nel tempo. Il principio affermato avrà un impatto significativo su numerosi procedimenti riguardanti l’accesso indebito a contributi pubblici, delineando con precisione i confini della responsabilità penale in materia.


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Gli avvocati guidano la rivoluzione cashless: +78,8% di pagamenti digitali

Il 2024 segna un nuovo balzo in avanti per i pagamenti digitali tra i professionisti italiani. Secondo l’Osservatorio Professionisti Cashless di SumUp, fintech specializzata nei pagamenti digitali, le transazioni elettroniche tra le Partite IVA sono aumentate del 16,6% rispetto all’anno precedente. In questo contesto, gli avvocati si confermano i lavoratori più cashless, con un incremento del 78,8% nei pagamenti digitali rispetto al 2023.

Nonostante la crescita delle transazioni, lo scontrino medio per le consulenze legali ha registrato una flessione, attestandosi a 205,7 euro (-14,1%). Questo fenomeno si riflette in più settori: l’importo medio delle transazioni digitali complessive è sceso a 61,6 euro, con un calo del 3,9% rispetto all’anno precedente.

Dopo gli avvocati, i professionisti che hanno maggiormente incrementato l’uso dei pagamenti digitali sono i fotografi (+25,6%) e gli artigiani come idraulici, elettricisti e meccanici (+19,9%). In crescita anche il settore della cura della persona: parrucchieri, estetisti e barbieri registrano un aumento del 18,6%. Più contenuta, invece, la crescita nel settore sanitario, dove i veterinari segnano un +8,2%, seguiti da medici (+7,1%) e dentisti (+6,3%).

A livello territoriale, Avellino si distingue come la provincia con la maggiore crescita delle transazioni cashless (+30,2%), seguita da Ancona (+29,9%) e Benevento (+29,2%). Anche Vercelli (+28,2%), Prato (+27,4%) e Verbano-Cusio-Ossola (+26,5%) si collocano tra le province più dinamiche.

Per quanto riguarda il valore medio degli scontrini digitali, Avellino si conferma in testa alla classifica dei ticket più bassi con una media di 38,5 euro. Seguono il Sud Sardegna (49,3€) e Brindisi (49,7€). Tra le città con gli importi più contenuti figurano anche Cagliari (51,2€), Caserta (51,6€), Rimini (53,7€) e Lecce (54,6€).

L’adozione crescente dei pagamenti digitali dimostra come la transizione verso un’economia sempre più cashless sia ormai una realtà consolidata anche tra i liberi professionisti, con gli avvocati in prima linea in questa trasformazione.


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Nordio si salva dalla sfiducia: «Clima da inquisizione»

ROMA – Il ministro della Giustizia Carlo Nordio supera la prova della mozione di sfiducia sul caso Almasri. La richiesta delle opposizioni è stata respinta con 215 voti contrari, mentre a favore hanno votato PD, AVS, M5S e IV. Azione si è astenuta.

«Non vacilleremo. La riforma della giustizia andrà avanti. Più saranno violenti e sciatti gli attacchi, più saremo forti e determinati» ha dichiarato Nordio, difendendo il suo operato sul rilascio e il trasferimento in Libia a bordo di un Falcon di Stato di Almasri, il torturatore ricercato dalla Corte penale internazionale.

L’opposizione ha accusato il ministro di negligenza nel non aver trasmesso per tempo gli atti necessari alla convalida dell’arresto da parte della Corte d’appello di Roma. «Lei è l’unico a pensare che Almasri sia stato liberato per un cavillo» ha attaccato Maria Elena Boschi (Italia Viva), mentre la segretaria del PD Elly Schlein ha rincarato la dose: «Nordio deve dirci la verità. Chi le ha chiesto di non muoversi?».

Nordio ha respinto ogni accusa, definendo l’attacco delle opposizioni «una pagina vergognosa» e lamentando un clima da «Santa Inquisizione». L’errore sulla trasmissione degli atti, ha spiegato, «non era un cavillo, ma minava la giurisdizione».

Nel frattempo, la polemica si sposta anche sulle dichiarazioni del ministro per i Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani, che auspica un referendum entro l’anno sulla riforma della giustizia. L’opposizione accusa il governo di voler blindare il disegno di legge costituzionale senza possibilità di modifiche. «Impensabile che una riforma di questa portata passi senza correttivi» ha dichiarato la dem Debora Serracchiani.


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Criticare il datore di lavoro online è legittimo se si rispettano i limiti

Esprimere un giudizio negativo sul proprio datore di lavoro attraverso una piattaforma online non è di per sé motivo di licenziamento. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 5331/2025, chiarendo che il diritto di critica è garantito dalla Costituzione e dallo Statuto dei lavoratori, purché non si trasformi in una denigrazione gratuita.

Il caso

Un’azienda aveva creato un profilo pubblico su una piattaforma online, accessibile non solo ai dipendenti ma anche a fornitori, clienti e aziende concorrenti. Tra le funzionalità vi era la possibilità di pubblicare recensioni e assegnare un punteggio da uno a cinque. Un dipendente aveva espresso un giudizio critico accompagnato da un punteggio molto basso, suscitando la reazione del datore di lavoro, che aveva proceduto al licenziamento.

Il lavoratore ha impugnato il provvedimento e, in primo grado, il tribunale gli ha dato ragione. Tuttavia, in appello, la sentenza è stata ribaltata, riconoscendo la legittimità del licenziamento per giusta causa. La vicenda è poi giunta in Cassazione, che ha nuovamente ribaltato il verdetto, affermando che la critica, se espressa in modo misurato e basata su fatti veri, non può essere censurata.

I principi della decisione

Secondo la Suprema Corte, il diritto di critica deve essere distinto dalla denigrazione: esprimere un giudizio negativo o manifestare dissenso non equivale a un attacco gratuito o a un comportamento diffamatorio. La Cassazione ha sottolineato che:

  • Il diritto di critica è costituzionalmente garantito (art. 21 Cost.) ed è ribadito dallo Statuto dei lavoratori (art. 1).

  • Non è rilevante che il messaggio sia visibile al di fuori dell’azienda, purché rientri nei limiti di una critica legittima.

  • Il linguaggio deve essere misurato e i fatti riportati devono essere veri, evitando insulti o attacchi personali.

In questo contesto, il dipendente ha esercitato un diritto fondamentale, senza travalicare i confini della legittima manifestazione del pensiero.


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L’approvazione del disegno di legge sull’Intelligenza Artificiale da parte del Senato rappresenta un passo significativo verso una regolamentazione che tenga conto delle sfide e delle opportunità offerte da questa tecnologia. Tuttavia, emergono interrogativi cruciali sulla sua applicazione nell’ambito giudiziario.

Il Presidente del Consiglio Nazionale Forense, Francesco Greco, ha sollevato nei giorni scorsi alcuni quesiti fondamentali: «Se il giudice utilizza il sistema di intelligenza artificiale, che cosa succede? Il provvedimento scritto con l’IA, senza che ciò possa avvenire, che fine fa? Il giudice che viola alcune limitazioni previste dalla norma a quali conseguenze va incontro?». Greco ha inoltre evidenziato la necessità di istituire un Osservatorio permanente sulla giurisdizione con la partecipazione di magistratura e avvocatura, sottolineando l’importanza di un confronto costante: «Quando parliamo di diritti, che non sono numeri, delle persone fisiche o giuridiche, occorrono sempre momenti di grande ponderazione».

Su questa linea, interviene Alberto Del Noce, Presidente dell’Unione Nazionale Camere Civili (UNCC), ribadendo la centralità della decisione umana nel processo giudiziario: “L’UNCC ha sempre sottolineato l’importanza di una normativa che garantisca il rispetto dei diritti fondamentali, il ruolo centrale dell’avvocatura e il primato della decisione umana. Concordiamo con il Presidente del CNF sulla necessità di un confronto costante tra tutti gli attori del sistema giuridico, affinché l’innovazione tecnologica si sviluppi nel pieno rispetto delle garanzie costituzionali e del diritto di difesa”.

Secondo Del Noce, l’uso dell’Intelligenza Artificiale nella giustizia deve essere guidato da principi chiari e condivisi, evitando derive che possano compromettere il ruolo essenziale del giudice e dell’avvocato: “L’Osservatorio potrebbe offrire un contributo determinante nell’elaborazione di linee guida, nel monitoraggio dell’utilizzo degli strumenti digitali e nella tutela dell’indipendenza della giurisdizione”.

L’auspicio dell’UNCC è che questa proposta trovi concreta attuazione e che il legislatore riconosca il valore di una riflessione costante e partecipata su un tema che incide profondamente sull’amministrazione della giustizia e sulla tutela dei diritti dei cittadini.


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